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Sitting all day at the beach could bore to death even the laziest ape. Best antidote is to leave the gates of the resort for day tours around the island.
The first tour takes us to the UNESCO heritage listed Jatiluwih rice fields, on the slopes of central Bali.
We decide to go in the morning, quite late, but our guide friend Susi is very welcoming and gives us a rendezvous at 1200 hours, she says it won’t be too late.
We get ready in full kit, the day is grayish and staying at the beach not ideal.
She’s right there on time, her daughter Putri is coming along with us as it’s Sunday and she’s off from work (a hotel in Nusa Dua).
We embark in the usual journey north, where most of the cultural attractions are. Putri sits in front with Susi, she soon falls in a slumped slumber and will do so for the most part of the day.
We clear Kuta and Denpasar, where the traffic is usually hellish for people like us (alpine goats), then clear the last big town, Tabanan, then drive straight upwards among smaller villages and more rice fields. Bali’s “middle earth” villages are built on ridges and separated by micro valleys where the ever present water rushes down towards the ocean, only after quenching the thirsty ever wet rice fields. In these valleys the vegetation is denser and junglish, the roads twisty and narrow.
We start climbing up on a twisty and incredibly narrow potholed but sealed road, without any trace of road signs. The signs of a very recent knock’em down rainstorm are visible, along with road works and local plus tourist traffic. Not a place to drive. I wanted to drive during our second visit to explore the north coast and be more flexible. An experience never to be repeated.
Susi says the local politicos are pocketing most of the tourist money, without fixing the terrible roard. It’s a global village. On a side note, I’ve also learned that the visa on arrival money and also the departure tax money, goes to the central government in Jakarta. In other words, Bali is like a fat beautiful cow, pestered by tourists and workers from all over the rest of Indonesia, and relentlessly milked without proper food in return.
A few more turns among countless chickens cackling away in the stench of their many prisons (that area is chicken farming country), and the first glimpse of the rice fields in the mountain mist enchant us.
We park and have lunch overlooking the most photographed spot. Peasants are placidly at work in the green slime, some reclined under their cone hats, some two meters from a fat brown rat, some behind sowing machines, or behind oxen, like in the old times, for the joy of our ever snapping cameras. Many tourists are now sporting go pros on poles. It reminds me of myself in 2002, during my first RTW, with my beloved (and now sadly retired) Sony DCRPC6 video camera.
After lunch, we take some more pictures here and there, the looming rain never hit us seriously. Jatiluwih is truly remarkable for its views. The shades of green escape description. I made a mental note to remember to ask Susi how many words for green they have in their language. It was definitely worth coming up here, and since we have time we decide to see the sunset at Tanah Lot, relatively close, by comparison with the distance to Jimbaran.
The car ride is tiring, constant slow speed, sudden accelerations, sudden stops, due the chaos on the roads and their quality. We pass many Balinese houses, I’m always trying to snap pictures, but seldom can. Another thing that tires you is the overwhelming exoticness of it all. You constantly look left and right, can’t stop. The contrasts are also striking. And confusing. One minute a sumptuous procession of traditionally clad men and women at a wedding, the next a young mom with his naked baby in the floor of a room, made of dirt, accompanied by chickens and dogs. Truly confusing indeed.
We arrive in Tanah lot with time to spare, and witness a fantastic sunset over the gently breaking surf, the temple and the rock bridge, the surfers enjoying the last waves, in a large crowd of excited tourists of all ages and provenience.
No time for anything else, the ride back to Jimbaran takes 1 hour, we take the evening off and rest, thinking about what we saw, or what we think we saw, and what was really there.
Bali’s uniqueness is stunning!
Starsene seduto tutto giorno in spiaggia potrebbe annoiare a morte anche lo scimmione più pigro, quindi lasciamo i cancelli del resort per escursioni giornaliere intorno all’isola.
Il primo giro è alle risaie di Jatiluwih, patrimonio mondiale dell’umanità elencato nei siti UNESCO, sulle pendici dei vulcani di Bali centrale.
Decidiamo di andare abbastanza in ritardo, ma la nostra amica guida Susi è molto accogliente e ci dà un appuntamento alle 1200, dicendo che non sarà troppo tardi.
Siamo pronti in kit completo, il giorno è grigiastro e stare in spiaggia non ideale.
Susi porta sua figlia Putri insieme a noi, siccome è domenica e lei è libera dal lavoro (hotel a Nusa Dua, 200$ al mese).
Rotta verso nord, dove sono la maggior parte delle attrazioni culturali. Putri si siede davanti con Susi, quasi subito crolla in un sonno interrotto da brevi smanettamenti al cellulare, o per mangiare, così per la maggior parte della giornata.
Superiamo indenni Kuta e Denpasar, dove il traffico è solitamente infernale per gente come noi (capre alpine), poi l’ultima grande città, Tabanan, per poi proseguire dritto verso nord tra villaggi più piccoli e più campi di riso. I villaggi della “Terra di mezzo” di Bali sono costruiti sulle creste e separati da micro valli, dove l’acqua sempre presente si precipita giù verso l’oceano, solo dopo aver dissetato innumerevoli campi di riso. In queste valli la vegetazione è più densa, una specie di jungla, le strade strette e tortuose.
Ci arrampichiamo su un’incredibilmente stretta e tortuosa strada piene di buche, senza alcuna traccia della segnaletica stradale. I segni di un recentissimo temporale sono visibili, insieme a lavori stradali e traffico locale e turistico. Decisamente non un posto per guidare auto. Ho guidato durante la nostra seconda visita per esplorare la costa nord ed essere più flessibile. Un’esperienza da non ripetersi mai più.
Susi dice che i politicanti locali intascano la maggior parte del denaro portato dai turisti, invece di usarli per la comunità e per migliorare le strade. Tutto il mondo è paese. Tra l’altro ho anche scoperto che il soldi del visto all’arrivo e anche i soldi della tassa di partenza, va al governo centrale di Jakarta. In altre parole, Bali è come una vacca bella grassa, tempestata di turisti mosche e lavoratori sanguisughe provenienti da tutto il resto dell’Indonesia, inesorabilmente munta senza alimentazione adeguata in cambio.
Alcuni altri tornanti tra innumerevoli galline starnazzanti nel fetore delle loro prigioni (la zona degli allevamenti intensivi di polli), e il primo assaggio di campi di riso nella nebbia montana ci incanta.
Parcheggiamo e pranziamo con vista sullo scorcio più fotografato. Sparuti contadini sono placidamente al lavoro nella melma verde, alcuni reclinati sotto i loro cappelli a cono, a circa due metri da un grasso ratto marrone, alcuni dietro le macchine della semina, o dietro i buoi, come nei vecchi tempi, per la gioia delle nostre macchine fotografiche. Molti turisti sono ormai equipaggiati con golfo attaccati a monopods. Mi ricorda me stesso nel 2002, durante il mio primo RTW, con la mia amata e fedele telecamera Sony DCRPC6 (ora tristemente in pensione).
Dopo pranzo, scattiamo alcune altre foto qua e là, la pioggia incombente non ci ha mai colpito sul serio. Jatiluwih è davvero notevole per i suoi panorami. Le tonalità di verde sono pressoché impossibili da descrivere. Ho preso una nota mentale per ricordarmi di chiedere a Susi quante parole hanno per descrivere i vari verdi nella loro lingua. Valeva sicuramente la pena di venire qui, e dato che abbiamo tempo decidiamo di vedere il tramonto a Tanah Lot, relativamente vicino, in confronto con la distanza da Jimbaran.
Il tragitto in auto è faticoso, si procede lenti con improvvise accelerazioni, arresti improvvisi, a causa del caos delle strade e la loro qualità. Passiamo molte case balinesi, sono sempre all’erta per scattare foto, ma mi è raramente possibile. Un’altra cosa che ti stanca è l’esotismo travolgente del tutto. Lo sguardo palleggia costantemente tra sinistra e destra, non lo puoi fermare. I contrasti sono sorprendenti. Ti confondono. Un minuto un sontuoso corteo di uomini e donne tradizionalmente vestiti a un matrimonio; un minuto dopo prossimo una giovane mamma con il suo bambino nudo nel pavimento di una stanza, fatto di terra e sporco, in compagnia di cani e polli. Totalmente disforico.
Arriviamo a Tanah lot in tempo per non correre. La natura ci regala un tramonto che scalda le onde che si infrangono, il tempio e il ponte di roccia, i surfisti che si godono l’ultime onde, in una grande folla di turisti entusiasti di ogni età e provenienza.
Non c’è tempo per niente altro, la corsa per tornare a Jimbaran dura 1 ora, restiamo in hotel a riposare, pensando a quello che abbiamo visto, o quello che pensiamo di aver visto, e quello che veramente c’era.
L’unicità di Bali stordisce!
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