Alle 4.21 a.m. di oggi arriva una mail, nel silenzio della notte e del mute del computer. La leggo alle 6.30, come ogni mattina appena scendo dal letto. Giorgio Bettinelli è il mittente, dal suo blog. Penso, avrà formulato un invito o una collaborazione, come aveva paventato a giugno a me e Eddie, e invece questo era il testo della mail:
“dear haero, eddi,fabri, and all,
i am very sad and sorry to say to you:
bird is free,
travelling in the cold cold ground,
giorgio, he needs long sleep,
he needs away from the heavy breath
he needs go to see his father and mother in the heaven
he wants me to say that you all are friends in his heart
yapei”
A scrivere è sua moglie Yapei. Sono incredulo all’inizio, cerco conferme, trovo l’unica notizia su Wikipedia, Giorgio Bettinelli è morto il 15 settembre 2008.
Giorgio, che scorri per il mondo da 16 anni, ora scorrerai per sempre nel tuo Mekong. Oggi m’hai fatto piangere, sinceramente, mentre scorrevo da F a I come tutte le mattine, con 3500 metri di granito e ghiaccio sopra la testa e al cuore. Il tuo contributo al mio viaggio intorno al sole sarà sempre una dolce e potentissima fonte d’ispirazione.
Here’s to you, Sensei Shan Shui Lao.
Riposa in pace.
“Chi parte per un viaggio breve o per un mese o qualche mese inseguendo un’avventura da sogno in località dai nomi che toccano corde risonanti in lui, lascia a casa tutto il resto ed e’ concentrato solo sul viaggio che ha davanti; e’ aperto come una veranda a ricevere tutto quello che il viaggio sa sprigionare, con la sua luce e le sue ombre. Ma chi spende 16 anni di vita viaggiando, essendo comunque aperto come una veranda incontro a quello che lo circonda, per forza di cose deve essere “concentrato” anche sulla sua vita, perche’ quello che ha intorno non e’ altro che la sua vita; aperto a ricevere luci e ombre di quello che ha dentro indipendentemente dal viaggio che sta facendo o dal posto in cui e’; a ricevere sole o pioggia di quello che gli sta succedendo dentro, oltre a quello che gli sta succedendo intorno.
E allora le tempeste di vento & sentimento ci stanno, eccome se ci stanno!
Cosi’ si puo’ indulgere alla confusione, al non sapere dove sbattere la testa, all’autoindulgenza, a una bottiglia, alla ribellione volitiva, a quintali di bassezze che non ti saresti mai aspettato di poter commettere, all’autodisistima, alla passione, al magone, alla lontananza e alla mancanza… Anche se sei in Cina e stai scrivendo di un viaggio, anche se intorno a te succedono cose ben più importanti e documentabili di quello che succede in te, nonostante sia la tua vita in viaggio e il viaggio sia la tua vita.”
LA CINA IN VESPA, Giorgio Bettinelli, 1955-2008
Vinicio Capossela per Giorgio Bettinelli
Ho incontrato Giorgio Bettinelli nel settembre 2004 al festival della letteratura di Mantova. Era tra il pubblico e aveva ascoltato la presentazione di “Non si muore tutte le mattine”. Venne ad esprimere il suo interesse con generosità ed entusiasmo. Aveva questi occhi come fuori di sè, febbricitanti, protesi in avanti, entusiasti ed infebbrati. Era magro come una faina, un fisico minuto. Avrebbe potuto fare il fantino forse, ma era troppo intellettuale per i cavalli, era infatti un fantino a due ruote, fantino dello strumento da viaggio pensante: la Vespa Piaggio. La passeggiata a due ruote. A viaggiare in Vespa si è ben diversi dai centauri. E’ uno strumento più amichevole, ispira solidarietà e non si alzano mai davvero i piedi da terra. Giorgio Bettinelli è stato l’unico vero grande viaggiatore che ho mai conosciuto. Veniva la vertigine a constatare attraverso la sua persona quanto mondo c’era al di là di quello generalmente conosciuto. Mentre le mie e nostre stagioni si ripetono e cambiano le canzoni, forse, ma non i luoghi, Bettinelli faceva due giri del mondo. Giri guadagnati chilometro a chilometro. Un Phileas Fogg a due ruote, che nel giro del mondo trovava anche la sua futura sposa, ancora più a oriente delle Indie.. in Cina. Però sempre dandogli un passaggio sulla sua Vespa mongolfiera. O forse era parente di quei grandi velisti solitari come Fogar, che agli abissi avevano sostituito la polvere e lo sterrato.
Una sua leggerezza gli permetteva di prendere la vita sapendo prendere e lasciare. Fermarsi e ripartire. Abbiamo passato alcune sere a Milano, dove era venuto per la casa editrice e per un fratello che ci vive, e fu come un lembo ritagliato di quotidianità.. Per due giorni abbiamo provato il lusso di essere dello stesso quartiere. Dava la vertigine però, pensare a quante migliaia di chilometri ci avrebbero separato dal prossimo incontro. Incontro circolare che mi avrebbe trovato allo stesso punto, ma che necessitava di un suo giro di pianeta. Questo girare era un’elaborazione della sua vocazione alla scrittura. Tutto quel viaggiare non avrebbe avuto senso se non fosse stata materia da rielaborare sulla pagina, perché era la pagina la vera rotta del suo viaggiare. Giorgio è stato prima scrittore che viaggiatore. Le sue “Caramelle di liquirizia ” vennero prima della Vespa. E anche le canzoni che aveva scritto e di cui non sapeva bene ancora che fare. Parlando delle nostre vite, mentre io mi affacciavo a mezzo dei suoi racconti a tutti i luoghi, le strade e i paesi che avevo già mancato, Bettinelli veniva colto dal rammarico per tutte le cose che non avrebbe scritto, le canzoni che non avrebbe composto, gli spettacoli che non avrebbero visto la luce, a causa di tutto quel viaggiare. Così almeno da questo ci sentimmo accomunati. Dal fatto che tanto ad andare che a stare fermi c’è sempre qualcosa che manchiamo.. Erano queste, considerazioni di vita, scelte, destini, che rimanevano come cenere alla fine di racconti mirabolanti.
Bettinelli essendo abituato a portarsi poco aveva spazio per tutto, e così trovò il modo di portarsi dietro anche la nostra amicizia. Dava notizie di sé, da laggiù, sul Mekong. Faceva inviti, e si portava con sé parti di noi.
Memorabile fu l’incontro con il mio amico Marco Cervetti, il gigante. Entrambi sapevano parlare il cinese, e Bettinelli portava sette orecchini al lobo, uno per ogni lingua che aveva imparato. Cervetti lesse tutti i suoi libri dopo che fu partito, a voce alta, tenendone viva la voce.
Mi raccontò Bettinelli che per lenire il dolore del primo abbandono che subì da un suo amore, andò immediatamente, e ancora piangendo, in un agenzia di viaggi. Prese il primo viaggio disponibile nel pomeriggio stesso. E ancora con le lacrime agli occhi si ritrovò a finire di piangere nel Borneo. E da lì stette mesi, e poi per caso si procurò una vespa. E così cominciò.
Girò tutta l’Africa e rischiò la vita e perdette la Vespa al contatto con certe popolazioni, presso le quali era proibito entrare senza protezioni. Bettinelli ha attraversato la Siberia prima del gelo, ha posato pneumatici e piedi sul lago Baikal e, da diavolo qual è, è arrivato fino in Tasmania. Ha attraversato tutto il Nordamerica e poi la Patagonia, e tutta la Cina dove si è anche costruito una casa e una famiglia, e poi e poi… l’altra mattina da così lontano, ecco insomma ho appreso che non ci sarà più modo di salutarci. Forse è così che succede con i viaggiatori, o forse così succede a tutti noi.
Borges diceva che se in fondo non ci considerassimo immortali non avremmo la forza di salutarci, perché ogni volta potrebbe essere l’ultima
, però con un viaggiatore è tutto ancora più lontano, non puoi che rivolgerti al cielo, per fargli un saluto, ed è al cielo che rivolgo le mie lacrime per non potere più salutare, né rivedere gli occhi infebbrati di Giorgio Bettinelli. Così succede con i viaggiatori, se ne vanno e la loro fine resta avvolta nel mistero, poche righe amorevoli provenienti da terre lontanissime. Dicono quelle righe che ora Giorgio è in un altro freddo mondo, così come tutti noi saremo, ma con un viaggiatore la fine si fa più disarmante, perché ci pone più a contatto col mistero del nostro vivere, vederci e sparire. Forse per questo mi pare che l’unico mezzo a cui affidare queste lacrime sia scriverne, come fosse al cielo. Brum brum amico con una chitarra per bagaglio, a tracolla, all’antica.. e che lo spazio non ti manchi, ancora più che il tempo.